LA QUESTIONE DEL SAHARA OCCIDENTALE

manifestazioneUn popolo vive da 30 anni, rinchiuso nel deserto e attende da 17 anni che l'Europa batta un colpo. Tutto ha inizio nel 1975, quando l’impero coloniale spagnolo collassa e l’esercito iberico lascia il Sahara Occidentale nelle mani della Mauritania e del Marocco, ignorando totalmente il diritto all'autogoverno del popolo Sahrawi che lo abitava da secoli. Dopo pochi mesi si costituisce il fronte POLISARIO, movimento-partito di liberazione nazionale che inizia una sistematica azione di guerriglia contro gli invasori, inizialmente mauritani. La Mauritania, che non aveva le risorse economiche per sostenere una guerra di conquista, si ritirò dal Sahara occidentale, ma nel 1976 numerose divisioni marocchine invadono il Sahara Occidentale, cacciando i Sahrawi con sistematiche e indiscriminate azioni di genocidio.

Il 1976 è l’anno dell’esodo di massa in cui i Sahrawi attivi politicamente e capaci di muoversi fuggono in esilio soprattutto in Algeria, dove vengono ospitati dal governo di Algeri (storico nemico del Marocco) nel deserto dell’Hammada (in Arabo sofferenza), prima disabitato. Attualmente vivono nei campi profughi circa 300.000 sahrawi.

 

II 27 febbraio 1976 viene proclamata la Repubblica Araba del Sahrawi Democratico (RASD), un governo eletto con libere elezioni. I rappresentanti locali vengono eletti nelle province (Wilaya) e poi rappresentano i propri elettori al congresso del POLISARIO (una sorta di assemblea nazionale composta da varie correnti) che decide la linea politica nazionale ed elegge il parlamento e il governo. Ogni Sahrawi è un militante, uomo, donna o bambino.

ll POLISARIO ha combattuto una guerra lunga 12 anni contro l’esercito marocchino (uno dei più potenti del mondo) adottando essenzialmente tattiche di guerriglia: attaccavano a bordo delle loro jeep, che guidano velocissimi nel deserto, e poi fuggivano rapidamente. L’ampiezza degli spazi disorientava l’esercito marocchino che non riusciva a prevedere la direzione degli attacchi.

L'empasse dell’esercito di Rabat era tale che i Sahrawi riuscirono addirittura a liberare la città di Tifariti ed i territori circostanti. Per impedire ai ribelli di attaccare di sorpresa, il Marocco inizia negli anni ‘80 la costruzione del cosiddetto muro della vergogna, un muro di sabbia di 2500 km minato e presidiato da 150.000 soldati. Questo muro è invalicabile e i territori minati circostanti provocano frequentemente vittime civili, specialmente beduini. Per effetto della costruzione di questo muro e dell’impossibilità per i civili (di qualunque nazionalità) di entrare o uscire dall’ex Sahara Occidentale, gli esuli che hanno lasciato le famiglie in patria non vedono i propri cari da decenni.

Nella seconda metà degli anni ’80 l’ONU preme per una soluzione pacifica del conflitto, la RASD il 6 novembre 1988 decide unilateralmente di deporre le armi ed iniziare il processo di pace. Le trattative conducono ad un accordo per il cessate il fuoco definitivo nel 1991, che prevede l’effettuazione di un referendum sotto l’egida dell’ONU in cui la popolazione locale avrebbe dovuto decidere se rimanere sotto l’autorità del Marocco o far parte della RASD; successivamente il governo di Rabat si rifiuterà di applicare questo accordo.

L'ONU si è dimostrato incapace di fare adeguate pressioni sul Marocco, per effetto dell’amicizia e dei rapporti commerciali che legano quest’ultimo a molti paesi europei, non ultima l’Italia. Il territorio dell’ex Sahara Occidentale è ricchissimo di risorse naturali (in particolare fosfati, essenziali per le industrie chimiche europee), che il governo marocchino vende ai paesi europei in cambio del loro silenzio. Inoltre il Marocco è visto come un alleato irrinunciabile data la laicità del suo regime (irrilevanti è in questo caso il fatto che si tratti di una dittatura) e del suo ruolo di antagonista dell'Algeria, particolarmente gradito alla Francia. Eppure il diritto all’autodeterminazione (principio basilare della carta delle N.U.) del popolo Sahrawi è stato ribadito da decine di risoluzioni votate dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, risoluzioni che però non hanno potere vincolante, mentre il potere decisionale del Consiglio di Sicurezza è bloccato dal veto, effettuato in questo caso della Francia.

La stessa Corte di Giustizia Internazionale, in teoria suprema garante della legalità internazionale, si è pronunciata in favore della RASD, queste sentenze non sono mai state applicate a causa della mancanza di potere coercitivo della corte stessa. In questo senso il caso del Sahara occidentale è esemplare: dimostra come il diritto internazionale sia soltanto uno strumento di legittimazione in mano ai paesi più forti, quando questi strumenti sono scomodi rimangono semplicemente inapplicati.

Nel 1991 viene istituita la MINURSO missione dell’ONU per il Sahara Occidentale la cui principale funzione è di interporsi tra le parti in conflitto ed evitare spargimenti di sangue, che però avvengono di frequente nei territori occupati ed alcuni attivisti raccontano di essersi rifugiati presso la sede delle N.U e di essere poi stati consegnati alle autorità marocchine, sebbene sia risaputo che nelle prigioni di quest’ultime si fa uso sistematico della tortura; numerose sono le testimonianze in merito ed un ulteriore prova è costituita dal fatto che il Marocco impedisca a chiunque, anche agli osservatori internazionali, di entrare nel Sahara Occidentale.

Numerosi eminenti diplomatici si sono succeduti con l’incarico di contrattare una soluzione alla controversia per conto dell’ONU, ma le mediazioni proposte (sempre più compromissorie e quindi sempre più favorevoli al Marocco) sono state rifiutate dal Marocco . Negli ultimi anni non sono stati fatti passi in avanti significativi e anzi la RASD accusa i governi OCSE di ridurre gli aiuti per fiaccare la volontà dei ribelli.

Nel 2005 è stata proclamata una intifada nei territori occupati, una lotta condotta in modo pacifico, non violento, con manifestazioni pro referendum che vengono spesso represse nel sangue.

E’ paradossale che in un contesto internazionale in crescente estremizzazione, la comunità internazionale non si sia resa conto di quanto sia emblematico il caso della RASD, Repubblica democratica, pacifica, araba, islamica, ma laica (come la Palestina di 10 anni fa), che da quasi 20 anni si è affidata alla diplomazia internazionale, attendendo pazientemente la mera applicazione di un proprio innegabile diritto, in un’attesa che significa abitare il deserto della sofferenza (Hammada), senza avere una cittadinanza, un passaporto riconosciuto dalla maggioranza degli stati.

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