ARGENTINA: LABORATORIO SPERIMENTALE ANTI-LIBERISTA

argentina

Nel dicembre 2001 il governo argentino si dichiarava incapace di ripagare il debito estero.

La notizia fece rapidamente il giro del mondo e si verificò una enorme fuga di capitali che prosciugò le banche argentine. Il governo Memem congelò i prelievi bancari e si verificò un vero e proprio assalto agli sportelli da parte della popolazione che vide in poche ore polverizzati i propri risparmi.

La rabbia del popolo argentino divenne incontenibile, le piazze si riempirono, a centinaia di migliaia si ritrovarono nella Plaza de Mayo davanti al palazzo del governo urlando “Que se vayan todos!”, che se ne vadano tutti. La protesta durò molti giorni ed il governo provò a reprimerla con la polizia, diverse persone morirono, molte altre rimasero ferite, ma la gente non se ne andò.

 

Carlos Memem, una sorta di Berlusconi sudamericano, detentore dei principali mass media, era il principale artefice di quel disastro e fu costretto a lasciare la Casa Rosada con il suo elicottero personale per poi abbandonare il paese. Memem, in carica dal 1989, promosse una serie di riforme economiche sul modello del Washington Consensus che fecero dell'Argentina il fiore all'occhiello del Fondo Monetario Internazionale (FMI), la nazione più liberista al mondo in cui ogni servizio era stato privatizzato ed ogni movimento di capitali di qualsiasi entità era possibile.

Solo un anno prima la Banca Mondiale nel suo rapporto annuale sull'economia argentina del 2000 aveva dipinto una situazione rosea dell'economia del paese, un quadro stabile nel lungo periodo. Queste riforme portarono invece al progressivo impoverimento della popolazione ed esposero il paese alla volatilità del mercato finanziario internazionale. Le vicende argentine sono state discusse in Italia sopratutto riguardo ai danni subiti dagli investitori in bonds argentini, ma la crisi economica successiva alla crisi finanziaria causò il fallimento di molte imprese argentine e milioni di lavoratori si ritrovarono disoccupati.

In molti paesi del nord del mondo i lavoratori sarebbero stati inseriti in cassa integrazione ed il governo si sarebbe magari attivato con un piano di sviluppo affinchè questi lavoratori trovassero una nuova occupazione. In America (del sud) invece non esistono ammortizzatori sociali, non ci sono i soldi per rilanciare l'economia ed anche se ci fossero il FMI premerebbe per la priorità del rimborso del debito estero. La situazione dei lavoratori argentini era quindi gravissima, i piqueteros paralizzarono le strade, si organizzò un'economia informale di sussistenza, ampie fasce della popolazione tornarono al baratto, la gente si ritrovava, disoccupata, in strada e si riuniva in assemblee che decidevano la linea politica locale. Un supporto politico e pratico forte fu dato, a questi neonati movimenti di massa, dalle associazioni delle madres de plaza de mayo e degli hijos (figli di desaparecidos) che da decenni abitano le piazze argentine per chiedere verità e giustizia sulla questione dei desaparecidos (quest'anno ricorre il trentennale dalla prima sparizione, gli scomparsi sotto le dittature militari degli anni '70 e '80 furono più di 30.000). Fu un tentativo di “rivoluzione democratica” che però portò ben pochi cambiamenti in termini di politica nazionale, ad oggi non esiste infatti una classe politica che risponda alle istanze del popolo argentino, che è ormai pienamente cosciente di ciò (ed infatti urlava “che se ne vadano tutti!”). Magari questa classe politica potrà formarsi in futuro, ma per il momento il popolo intende vegliare sull'operato dei politici attuali, senza mai voltare le spalle, pronto a cacciare tutti al primo caso di mal governo.

Gli abitanti dell'America impoverita nel corso degli ultimi anni hanno sviluppato nuove strategie di resistenza contro gli effetti del neoliberismo, una delle più singolari si è verificata proprio in Argentina ed è sintetizzata dal surreale motto “Occupare, resistere, produrre!”: gli operai argentini in seguito al fallimento delle loro fabbriche non le abbandonarono, ma anzi iniziarono occupazioni finalizzate ad impedire la dismissione dei macchinari e delle scorte di magazzino. Il loro scopo era quello di espropriare le fabbriche e di formare delle cooperative, tutti gli operai sarebbero divenuti imprenditori di se stessi.

Incredibilmente il loro piano ebbe successo. Nonostante i problemi legali, la proprietà di molte fabbriche venne infine trasferita agli operai che le rimisero in piedi e tornarono a produrre, a prezzi perfino più convenienti di prima, con notevoli esternalità positive per l'economia argentina. Ogni operaio detiene la medesima quota dell'azienda e le decisioni vengono prese con frequenti votazioni, un esercizio davvero notevole di democrazia diretta.

Però gli imprenditori, a testimonianza del successo economico di queste esperienze, tornarono a chiedere la restituzione delle fabbriche che loro stessi avevano dichiarato fallite. Questo alla vigilia delle elezioni politiche argentine del 2005 che vedevano contrapposti essenzialmente il redivivo Carlos Memem e Nestor Kirchner entrambi eredi del populismo peronista, l'uno però avrebbe restituito le fabbriche agli imprenditori, l'altro, forse, no. Nonostante lo slogan più urlato dagli argentini fosse “i nostri sogni non entrano nelle urne”, la sconfitta di Memem aprì la strada della prosecuzione dell'esperienza delle cooperative operaie, che ad oggi sono state legalizzate e si sono associate in un consorzio che attualmente riunisce 200 fabbriche autogestite che si relazionano in modo preferenziale tra loro. A livello internazionale queste esperienze sono state sostenute da progetti di commercio equo e solidale come la campagna “Tessere il Futuro” di Altromercato.

Il governo nazionale non è stato ancora sottratto all'influenza del Fondo Monetario Internazionale e quindi del Tesoro degli USA (principale detentore delle quote del FMI), prima delle elezioni il FMI si è intrattenuto in “colloqui informali” con ciascuno dei candidati alla presidenza, concordando le linee di azione del futuro governo. Le sirene del neoliberismo sono ancora troppo pervasive per le classi politiche di tutti i paesi, la democrazia elettorale ha i suoi evidenti problemi, per adesso l''unica soluzione per opporsi al neoliberismo rimane l'azione dal basso e l'ingegno delle comunità in resistenza. La sostenibilità di lungo periodo di queste esperienze deve essere ancora verificata, tuttavia l'opposizione al neoliberismo ha forse trovato una nuova, particolare, forma di lotta.

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