VERSO LA BALCANIZZAZIONE DELLA BOLIVIA

boliviaLa Bolivia sta affrontando uno dei periodi più difficili della sua storia poiché ogni giorno il rischio della secessione si fa sempre più evidente. Di fatto la Bolivia è un unico, grande e stupendo paese ma nella pratica soffre di una forte polarizzazione geografica ed economica. Ad occidente l’altipiano indigenista e ad oriente la ricca Nacion Camba.

Cinque dei nove dipartimenti boliviani, ossia La Paz, Sucre, Potosì, Oruro e Cochambamba, che presentano una maggioranza indigena (Aymara e Quechua), sono stati il motore propulsore dei movimenti sociali in questi ultimi anni ed hanno fatto sì che tali forze producessero, con la vittoria di Morales e del MAS, un cambio epocale all’interno del governo. I centri minerari di Oruro e Potosì fin dai tempi della colonia sono stati il nucleo economico e produttivo del paese e le loro risorse (pensiamo al valore inestimabile di argento estratto dal Cerro Rico di Potosì) hanno prima permesso la rivoluzione industriale dell’Europa, e poi l’arricchimento di coloro che hanno di fatto governato la Bolivia nei primi 50 anni del ‘900. La Paz e Cochabamba hanno da sempre prodotto la foglia di coca e donato ai territori limitrofi le sue ineguagliabili qualità energetiche e medicinali.

Queste regioni hanno rappresentato la ricchezza del passato boliviano ma il presente circoscrive all’oriente il ruolo di propulsore dell’economia del paese. La mezzaluna è composta dagli altri 4 dipartimenti a maggioranza creola e bianca: Beni, Pando, Santa Cruz e Tarija. In questi territori si riscontrano i più grossi giacimenti di gas e di petrolio, che fanno della Bolivia il secondo stato latinoamericano(dopo il Venezuela) in quanto a risorse energetiche. Qui, nonostante la presenza delle popolazioni indigene Guaranì, governano da sempre le elitè di latifondisti e grandi imprenditori strettamente legati al capitale internazionale. Questi soggetti fanno riferimento al partito d’opposizione Podemos e perseguono incessantemente politiche separatiste per impedire al governo Morales di attuare una equa redistribuzione dei proventi dallo sfruttamento dei giacimenti.

Uno dei principali capi del movimento separatista è l'impresario agroindustriale di Santa Cruz, Branco Marinkovic, socio di capitalisti cileni, che in questi giorni assumerà il comando del Comitato Civico di Santa Cruz, un'istituzione che vuole accelerare questo processo incitando alla ribellione contro il governo di Evo Morales.

È su queste onde di terribile incertezza rispetto ad un conflitto latente nell’aria ormai da molto tempo che arriviamo al macabro episodio di poche settimane fa.

L’undici gennaio scorso Cochabamba è tornata ad essere protagonista diretta nel processo di cambio che vive la nazione boliviana ormai da diversi anni. Questa volta non per dimostrare la forza della società civile né per festeggiare la vittoria della dignità e della sovranità del popolo sulle risorse nazionali, come successe nell’Aprile del 2000 quando fu cacciata la multinazionale Aguas del Tunari.

Questa volta abbiamo assistito invece all’ennesimo atto di violenza razzista, espressione di una rinnovata spinta secessionista della parte reazionaria e conservatrice del paese.

Giovedì 11 gennaio, i contadini, gli emarginati e diseredati della città, che mantenevano ormai da giorni un presidio per chiedere la rinuncia del prefetto Manfred Reyes Villa, hanno subito un preparato e crudele attacco da parte di 4.000 aderenti alla Juventud Democratica, un movimento cittadino bianco, sostenitore dell’autonomia rispetto al governo centrale di Morales e da sempre conservatore dei privilegi e delle relazioni di dominio che opprimono le popolazioni indigene. Il corteo fascista ha attraversato il ponte Cala Cala con il beneplacito delle forze della polizia presenti e, armato di mazze da baseball, bastoni, catene e pistole, ha selvaggiamente represso il corteo pacifico che presidiava la vicina Plaza de las Banderas.

A fine giornata si contavano più di cento feriti e ben due morti da arma da fuoco.

A un mese da quell’episodio appare ormai fin troppo evidente che quei 4.000 bianchi avevano l’appoggio del prefetto e il sostegno di molti soggetti poco raccomandabili giunti dalla ricca e vicina Santa Cruz, città dell’oriente boliviano (“mezzaluna”), divenuta centro strategico per la destabilizzazione del paese.

L’odio razzista, espresso nei continui insulti verso gli indios e la loro pelle scura, è stato sicuramente il protagonista indiscusso di quella sanguinosa giornata. La componente razziale della vicenda, che molti hanno sottolineato, non è altro che la superficie del problema in quanto le cause del tutto sono di origine classista e prettamente economiche.

La causa ultima da cui ha dipeso lo scatenarsi di quella rabbia furiosa dell’11 di gennaio è da ricercarsi esclusivamente nella figura di Manfred Reyes Villa.

Il “Manfred” (così lo chiamno i cochalos, ossia i cittadini di Cochabamba) ha un passato nefasto: ministro del governo genocida di Gonzalo Sanchez de Lozada (rifugiato dopo le stragi dell’Ottobre 2003 negli USA), uscito da “La escuela de las Americas”, centro di addestramento di paramilitari (di nazionalità latinoamericana) alla tortura e alle strategie di destabilizzazione che ha sfornato dittatori in tutto il continente (Pinochet, Garcia Meza,…), creato dagli USA nel 1946 a Panama e nel 1984 trasferito a Fort Benning in Georgia sotto il nome di Instituto de Cooperación para la Seguridad Hemisférica (SOA/ WHINSEC).

Il prefetto Manfred Reyes Villa, approfittando della propria condizione di autorità eletta, si è arrogato il diritto di non riconoscere i risultati del referendum del 2 luglio scorso (data nella quale insieme al voto per l’Assemblea Costituente fu indetto un referendum per l’autonomia) e convocare illegalmente nuove elezioni per annettere Cochabamba alla “mezzaluna”, rompendo il fragile equilibrio tra fautori dell'autonomia e coloro che le sono contrari.

Per concludere il quadro che dipinge la strategia di fondo che ha portato la nazione boliviana sull’orlo di una guerra civile non possiamo fare a meno di citare il nome Philip Goldberg. Nome che ci farà capire quanto il termine “balcanizzazione” sia assolutamente attuale e adeguato per lo scenario boliviano.

Philip Goldberg è il neoeletto ambasciatore USA in Bolivia.

Secondo il curriculum distribuito ufficialmente dall'ambasciata degli Stati Uniti a La Paz, Philip Goldberg partecipò fin dall'inizio alla guerra civile jugoslava che scoppiò negli anni '90, fino alla caduta e all'incriminazione del presidente serbo Slobodan Milosevic.
Tra il 1994 e il 1996 ricoprì la carica di desk officer del Dipartimento di Stato in Bosnia, nel periodo in cui scoppiò il conflitto tra i separatisti albanesi e le forze di sicurezza serbe e jugoslave.
In quello stesso periodo, lavorò anche come assistente speciale dell'ambasciatore Richard Holbrooke, che fu l'artefice della disintegrazione della Jugoslavia e della caduta di Milosevic. “In questa ultima funzione – ha informato l'ambasciata – è stato membro del gruppo di negoziazione statunitense che ha preparato la Conferenza di pace di Dayton e capo della delegazione statunitense a Dayton”.
Dopo aver esercitato la funzione di Consigliere dell'ambasciata degli Stati Uniti a Santiago del Cile dal 2001 al 2004, Goldberg ritornò nei Balcani per dirigere la missione statunitense a Pristina, capitale del Kosovo, e da lì appoggiò il processo contro l'ex dittatore Milosevic (morto l'11 marzo 2006) nel Tribunale dell'Aia.

Prima del suo trasferimento in Bolivia, Goldberg ha lavorato in Kosovo per la separazione della Serbia e del Montenegro, che è diventata effettiva nel giugno dello scorso anno come ultima conseguenza della scomparsa della Jugoslavia.

La guerra civile jugoslava ebbe come caratteristica principale la cosiddetta “pulizia etnica”, che consistette nell'espulsione e nell'annichilimento dei gruppi etnici tradizionali che componevano i territori della Jugoslavia. Tra queste azioni, la più crudele fu lo sterminio che si produsse tra serbi e croati.

La Bolivia, tre mesi dopo l'arrivo dell'ambasciatore Goldberg, inizia a subire un violento processo di razzismo e di autonomie separatiste, come nei Balcani, alimentato dalla città orientale di Santa Cruz, dove governa un'élite formata, tra gli altri, da impresari di origine croata che hanno creato un movimento federalista chiamato “Nación Camba””. [tratto da www.selvas.org].

Dopo gli eventi di Cochabamba il governo Morales ha scelto la via legale, sedando i rivoltosi che chiedevano un governo parallelo del popolo a quello del prefetto e seguendo la strada verso un referendum popolare che deciderà le sorti dello stesso Manfred, il quale ha prontamente acconsentito a tale procedura.

Il ruolo dei movimenti sociali sarà rilevante nell’impedire l’inizio di uno scontro fratricida che gioverà solo a quei pochi che tanto lo stanno preparando.

Comunque sia il futuro della Bolivia e della rivoluzione in atto è sempre più incerto e complicato.

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