UNITI PER L’UNIVERSITA’?!?

Lo scorso autunno fu una stagione davvero calda per l'Università italiana. Studenti, lavoratori e ricercatori per molte settimane manifestarono contro il DDL Moratti che stava per essere approvato dal parlamento. Tra occupazioni, assemblee e scioperi in molti atenei italiani, la protesta arrivò persino al Polo di Novoli dove il nostro Collettivo organizzò, insieme ad altri Collettivi e liste di sinistra ed a tanti studenti arrabbiati, un funerale per celebrare la morte dell'Università Pubblica (foto), si trattava di una provocazione con la quale volevamo evidenziare i pericoli che minacciavano (e minacciano) l'Università.

La riforma Moratti (presentata nel 2003) perse per strada, grazie alle vibranti proteste del mondo universitairo, molti dei suoi controversi pezzi e quella che fu infine approvata nel 2005 fu una versione fortunatamente molto annacquata della riforma iniziale. Ironia della sorte, in questi giorni alcune Facoltà stanno discutendo dell'applicazione di quella pessima riforma, proprio per ovviare al principale di questi pericoli: la cronica mancanza di finanziamenti. Infatti un cambiamento di ordinamento nella direzione del Decreto Ministeriale 270 garantirebbe alle Facoltà alcuni fondi preposti allo scopo dalla Moratti, pochi spiccioli intendiamoci, ma permetterebbero al sistema di trascinarsi avanti, aspettando tempi migliori. Siamo arrivati al paradosso: il mondo universitario si costringe ad applicare quella riforma tanto criticata, turandosi il naso, pur di elemosinare qualche spicciolo dallo stato.

 

Sono ormai molti, troppi anni che l'Università italiana versa in condizioni finanziarie disastrose, una causa importante di ciò è stata la riforma Berlinguer che rendendo autonomi gli atenei ha sganciato il bilancio dell'Università dal Ministero. Le speculazioni edilizie, gli sprechi del sistema baronale e la frammentazione di esami e corsi di laurea, in seguito all'introduzione dell'ormai noto sistema del 3+2, hanno fatto la loro parte.

Un'altra radice, più sotterranea, del declino finanziario dell'Università, è stata la svolta strategica compiuta dal paese nel lontano 1993, quando, con i cd. accordi di Luglio, si decise di investire in ricerca principalmente finanziando le imprese che a loro volta avrebbero dovuto utilizzare quei finanziamenti in ricerca e sviluppo. Questa strategia si è poi rivelata fallimentare sia per l'Università, che ha dovuto rinunciare a cospicui finanziamenti, sia per la ricerca, perchè le imprese italiane, per lo più di ridotte dimensioni, hanno difficoltà a portare avanti programmi di R&S, oppure più semplicemente usano quei fondi per altri scopi.

Oggi gli atenei italiani presentano un indebitamento sempre più massiccio (il record lo detiene l'ateneo fiorentino), sebbene nessun ateneo sia per adesso fallito ne sembra al momento essercene il pericolo, i problemi derivanti dall'indebitamento anche per noi studenti sono gravissimi, come ad esempio l'aumento delle tasse universitarie oppure il blocco delle assunzioni di professori di ruolo che unito alla proliferazione dei corsi implica direttamente un calo qualitativo e quantitativo della didattica e della ricerca

 

Il governo Berlusconi era stato in questo coerente: non credeva nell'istruzione pubblica ed ha provato a demolirla, riuscendo però a ferirla in modo poco più grave rispetto a come l'ha trovata. Invece l'Unione durante la scorsa campagna elettorale ha puntato molto sul tema della Scuola e dell'Università Pubblica, Prodi ha più volte affermato che un paese che non investe in questi due importanti settori non va da nessuna parte. Le cose sono poi cambiate quando il passaggio è divenuto stretto, c'è stata la necessità di programmare una manovra da 30 miliardi con tre pilastri, risanamento, equità e sviluppo e l'istruzione non è stata considerata una risorsa per lo sviluppo.

Nella versione attuale della Finaziaria 2007 i paventati tagli sembrano non esserci, ma non c'è neppure un finanziamento adeguato: almeno per quanto riguarda il fondo di finanziamento ordinario, la Finanziaria concede qualcosina: rispetto al 2006 l'Ffo passerà da 6.920 milioni di euro a 7.014 milioni, con una crescita pari a 94 milioni, che però per stessa ammissione del nuovo ministro Mussi "lascerà i nostri atenei ancora in sofferenza visto che c'è un incremento che è appena la metà dell'inflazione ". Una condizione di emergenza aggravata anche dalla riduzione degli incrementi automatici biennali per i professori universitari.

La stuazione è in evoluzione come testimoniano le continue prese di posizione del ministro, spesso in direzioni opposte. In un primo momento Mussi ha infatti minacciato di dimettersi a fronte del taglio (nel decreto Bersani sulle liberalizzazioni) di 200 milioni di euro dei consumi intermedi (le spese correnti dell'Università, acqua, luce, gas, carta etc), salvo poi ripensarci quando i soldi per queste spese sembravano esserci, alla presentazione della versione iniziale della finanziaria. Poi dopo i tira e molla di questi giorni Mussi è tornato a puntare i piedi quando ci si è resi conto che, oltre all'insufficiente incremento dell'Ffo, il taglio ai consumi intermedi sarebbe rimasto tale, mancano infatti su questo fronte ancora 150 milioni di euro.

La Finanziaria è quindi ad oggi un'incognita e ci riserviamo di valutare la sua versione definitiva, ci sembra comunque a questo punto inevitabile che essa comporterà una diminuzione dellle risorse a disposizione degli atenei almeno in termini reali (al netto dell'inflazione), come avveniva (sempre in termini reali) con il governo Berlusconi. Per questo motivo i sindacati confederali dell'università e della ricerca (Flc-Cgil, Cisl-Fir, Cisl-Università, Ulipa-Ur), hanno indetto uno sciopero il 17 novembre per il personale dell'università e il 20 novembre per il comparto della ricerca, ribadendo così il loro no alla finanziaria.

Riteniamo che la riforma Berlinguer vada senzaltro modificata, ma se prima non si investe con convinzione, ogni cambiamento è destinato a risultare velleitario. Del resto una riforma strutturale dell'università non si può fare a costo zero e sarebbe già qualcosa se il sistema funzionasse a pieno regime, con finanziamenti adeguati. Certo si devono eliminare gli sprechi, si deve provare ad instaurare un meccanismo meritocratico che premi l'efficienza, tuttavia se non ci si mette in testa che finanziare l'istruzione e la ricerca non è un costo, ma che è tra gli investimenti con il maggiore tasso di rendimento (appositi studi lo dimostrano), le finanziarie verranno scritte in questo modo, cercando di non scontentare nessuno, a discapito però dell'interesse generale del paese. Inoltre vale la pena rilevare come – a dispetto delle promesse fatte in campagna elettorale – siano sempre i giovani a dover pagare il conto, sia per quanto riguarda scuola e università che per quanto riguarda il precariato (per il quale non sono ancora stati fatti sforzi sufficienti, sebbene qualcosa rispetto al governo Berlusconi sia effettivamente cambiato), sarebbe forse l'ora di un cambiamento generazionale in politica

Da un paese che è il fanalino di coda in Europa nell'accumulazione della conoscenza (l'Italia è ultima in molte statistiche, per esempio quella di ricercatori per abitante) ti aspetteresti un investimento maggiore rispetto agli altri per colmare il gap; per un paese che, oltretutto, ha firmato l'intesa per il progetto europeo della Società della Conoscenza parrebbe un atto scontato . Invece, se questa sarà la finanziaria, il governo Prodi si appresta a mantenere la linea del precedente: lo stesso Mussi ha infatti denunciato che l'Italia investirà nei prossimi anni in ricerca solo l'1,1% del suo PIL, circa la metà rispetto agli altri paesi europei. Ed in questo anno "di sacrifici" l'investimento in ricerca e formazione sarà solo dello 0,88% contro la media europea che dello 0,99%. Ogni anno – ribadisce il ministro – l'Italia spende per ogni studente 8700 euro, mentre la Francia ne spende 9600, la Germania 10.500 ed i Paesi Scandinavi addirittura 12000.

Da un paese che (parola di Prodi) si vuole rilanciare, che vuole cambiare rotta, innovando o, come viene spesso vaneggiato, riformando, ti aspetteresti scelte coraggiose, non la solita manovra finanziaria di contenimento che bada soltanto al patto di stabilità ed a scontentare il meno possibile le varie lobbies, ed anche lo strazio dei continui cambiamenti, sempre in favore di qualche becero gruppo di interesse, non fanno altro che aumentare la nostra delusione. Certo nella manovra ci sono spiccioli di equità, si fa pagare una maggiore fetta del risanamento a chi sta meglio, buoni risultati si stanno ottenedo sul piano della lotta all'evasione fiscale, ma non ci basta, i soldi vanno reinvestiti in modo equo non usati esclusivamente per ripianare il debito e tenere buona Confindustria (al di la dei piagnistei di rito la finanziaria concede alle imprese davvero molto). Sulla finanza pubblica pesano, poi, le responsabilità gravissime del precedente governo e di Tremonti che 5 anni fa sulla sua lavagna ci ha mostrato il "buco della sinistra" che ha simpaticamente deciso di rendere con interessi esorbitanti al suo successore, una strategia (che potremmo definire "reganiana") forse magistralmente orchestrata per garantirsi buone possibilità di tornare al potere. Alla fine si tratta però di una scelta di campo, di priorità: cosa si vuole fare dei pochi soldi a disposizione?

Inoltre vorremmo anche accennare allo stato disastroso in cui versa il sistema scolastico nella sua interezza, verso il quale, sebbene non ci riguardi direttamente, dobbiamo esprimere tutti, come cittadini, un forte sostegno. Ebbene questa finanziaria colpisce duramente anche e soprattutto la Scuola pubblica, mentre vengono miracolosamente trovati i soldi per aumentare i finanziamenti alle scuole private.

Senza uno sforzo finanziario adeguato il funerale dell'Istruzione pubblica può solo essere rimandato, meglio di un'eutanasia, certo, ma ci era stato promesso un rilancio, non una lenta agonia. Prendiamo atto che il cambiamento di governo non ha cambiato (o ha cambiato di poco) la politica economica non solo dell'Università, ma dell'istruzione in generale. Prendiamo anche atto che in questo contesto politico bipolare non esiste un governo che abbia realmente a cuore l'istruzione e quindi il futuro del paese. Si sta perdendo un'altra occasione, noi non staremo in silenzio.

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